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Critica di Marzio Dall’Acqua

PAOLO BOTTIONI

 

 

 

                                                       “Ho sciolto i nodi della saggezza e ho

                                                       liberato la coscienza del colore”

                                                                        Kazimir Malevič

                                                                                                       Da “Suprematismo”, a cura di Gabriella   Di Milia,  Abscondita, Milano 2000, p. 55 

 

 

                    In Cammino Verso Citera

 

    Una mostra antologica ed un catalogo, che sintetizza un lungo percorso artistico, un procedere da un primo passo di fronte alla tela bianca, al vuoto da riempire con l’immaginazione prima che con i colori, un cedere ed un concedersi alla gratuità del dipingere, che diventa percorso, itinerario, senza bussola, spesso con inversioni di rotta, con arresti, con improvvise accelerazioni, con salite e discese, con mutamento di paesaggi interiori che cambiano cromie come cieli, sono dunque di per sé un diario di viaggio, una cronaca di bordo, un porre tra due date un andare che è diventato itinerario, con tappe, soste e ristori, ma anche conseguimenti.

E, dato l’amore per la natura che connota la ricerca di Paolo Bottioni viene in mente il “viaggio verso Citera”, caro agli artisti settecenteschi, come partenza dall’isola di Venere, nel caso di Watteau, nel clima di una festa galante, o come desiderio di raggiungere un luogo mitico, dove il ricordo della nascita di Venere, prometteva la possibilità di estinguere ogni sete d’amore, ogni desiderio di colmare un vuoto esistenziale che spinge alla ricerca, a mettersi in strada, a non riuscire distogliere la mente da una meta.

Ma quello di Bottioni non è stato un viaggio è stato, come usa oggi, un cammino. Non c’è il mare, la lontananza, un correre al di là delle onde che consente solo di mutare cielo non animo, come scriveva Orazio, c’è stata la calma dei giorni, del passo dopo passo, e non l’ansia dell’approdo. All’inizio è lo stupore, che, come scrive Hannah Arendt, “il punto di partenza del pensiero...è uno stupore che ammira”.

Così è stato per Bottioni: il trovarsi coinvolto in una avventura che, man mano diventava necessità, che lo portava a confrontarsi che un paesaggio di opere della arte contemporanea del XX secolo che lo circondava, lo affiancava, lo costringeva ad interrogarsi, gli instillava sintonia, umori ed empatie.

 Guardando gli artisti, i grandi maestri della figura del secolo appena finito Bottioni inizia il suo andare, che è una mediazione tra il piacere della natura, innato, il suo gusto per gli spazi liberi, per il mondo dell’uomo ma anche delle solitudini, per il gusto dell’ora particolare con le sue presenze od assenze irripetibili, e la necessità di esprimere queste emozioni, queste sensazioni in un linguaggio, da dominare, del quale impadronirsi. Insomma il primo cammino e quello che lo porta con passi decisi verso una prima tappa Bottioni lo percorre rivisitando, rendendo personali, assorbendo il linguaggio delle avanguardie storiche che si sono venute susseguendo, partendo dall’espressionismo e da certe esperienze come quelle “Der Blaue Reiter”, il Cavaliere Azzurro, di Marc e del primo Kandinskij, o di “Die Brücke”, il Ponte, da certi accesi cromatismi fauves, nella radicalizzazione di un Mauruce de Vlaminck, per intenderci, artista certamente molto amato da Bottioni, non senza rinunciare a certe sittese geometrie di derivazione cubista fino a contaminazioni cromatiche  e costruttive alal Nicola De Staël, per intenderci.

Con una freschezza naturalistica che con pudore salva la figura, la sua leggibilità, la sua riconducibilità ad una visione incantata, mentre il colore disgregato, frammentato, innaturale ed inventato, fissa in un instabile equilibrio una luce, una atmosfera, una rarefazione d’aria, nella magia sospesa dell’ora, del tempo.

Camminare è un inarrestabile moto, che si costruisce passo dopo passo.

E’ un adeguarsi allo scorrere dei giorni e dei momenti esistenziali in un mescolamento tra corpo, e sue scoperte, e realtà parallela, per cui, come ha scritto Duccio Demetrio “Il cammino è quindi, intrinsecamente, lo spazio e il tempo che percorriamo o che generiamo, mentre diviene con noi, nell’imponderabilità di ciò cui esso ci espone”.

Ci affrettiamo o rallentiamo il passo, al mutare dei desideri, quel che chiediamo al corpo, all’animo e ai suoi multiformi bisbigli. La linea spezzata, interrotta, parziale, ha una funzione, in queste opere di Bottioni, disegnativa che si sospende, che accenna, che cerca di contenere forme che altrimenti si spanderebbe solamente liquide sulla tela, verso un informale di carni e di colori disfatti, allusivi e sensuali, in un piacere che presuppone sempre l’aria, un movimento di lieve brezza, un disfacimento del reale davanti all’occhio che scopre, nell’avanzare del cammino, come il decomporsi delle cose, il loro disfarsi in pure cromie, in contrapposizioni tra chiarità e raggrumarsi di bruni, in una stratigrafia di piani paralleli, tra luminosità nevate ed ombre raggrumate, che vengono annullando la prospettiva, meno costruita, più accennata, che reale, in uno sfocare di distanze che sono colore che tende sempre ad una dolcezza pastello, ad una purezza di stesura solo lievemente increspata da condensazioni.

E’ il colore che costruisce il quadro, ancora con un riferimento naturalistico, con una sua segreta identità ambientale, fatti di evocazioni, di rimandi, nei quali ricordi pittorici si mescolano anche con concrete esperienze esistenziali, fisiche, ottiche. L’occhio con i suoi meccanismi diviene il protagonista della ricerca di Bottioni, in sintesi cromatiche sempre più coraggiose, sempre più staccate da ogni riferimento esterno, da ogni aderenza al soggetto. Le vaporosità di certi sfondi, specialmente di nudi, certi sbuffi cromatici ed insieme bambagie di   colore, sfuocati ed insieme allusivi, prendono sempre più corpo, diventano sempre più liberi, più irreali e dominanti fino a sgretolare la figura, corroderla, smontarla, smontarla, trasformarla in stesure spezzettate geometriche nella loro ripetitività, nel loro gioco segreto da caleidoscopio. Bottioni va verso una astrazione naturalistica, che sottende un riferimento al corpo   e/o al paesaggio i due grandi temi che lo coinvolgono, ma la sua pittura si libera sempre più, la sua pennellata campisce spazi sempre più uniformi che creano una interna, diversa e diversificata prospettiva, un senso di calore o di freddo che invade l’opera sostituisce quel lieve spostamento d’aria dei primi quadri. I contorni delle campiture  di stesura cromatica uniforme, morbida, vellutata quasi, si frastagliano, si sfibrano, con sovrapposizioni, con un gioco di texture e di taches, con nascondimenti e svelamenti, di tessuti pregiati, di stoffe fatte di luce, che hanno però sempre un rimando alla natura, alle foglie, le rocce, al cielo, alle terre mescolate con le creazioni degli uomini. La cifra di Bottioni è l’equilibrio, una specie di classicità che si impone nonostante l’apparente horror vacui che chiede di tutto riempire, di strutturare l’opera entro un reticolo la cui geometria, nelle ultime opere diventa sempre più complesso, sempre più articolato, sempre più allusivo, preso com’è da una specie di vortice. Nelle opere oltre una maggior libertà di invenzione cromatica si manifesta un dinamismo  interno alle forme, un movimento che anima e vivifica il quadro, senza tuttavia negare quel naturalismo da cui il cammino è partito. E che è in un certo senso, la cifra di Bottioni.

 

Parma, nei giorni del patrono 2006                              

 

                                                                             Marzio Dall’Acqua

 presidente dell’Accademia Nazionale   

di Belle Arti di Parma